Istruzione sulla s. Messa
Presso
tutti i popoli, che la storia ricorda, troviamo il sacrifizio non solo interno e
del cuore, come per esempio la rassegnazione e la preghiera, ma anche l'esterno,
il quale solo, propriamente parlando, appellasi sacrifizio. Il sacrifizio
fu in ogni tempo considerato come parte essenziale del divin culto. Sotto il
nome di sacrifizio strettamente e propriamente parlando s'intende una offerta
esterna di un oggetto materiale fatta a Dio, quale supremo ed infinito padrone,
da un ministro pubblico e a ciò deputato (il sacerdote) a fine, coll'immutazione
{96 [104]} od anche colla totale distruzione di quest'oggetto materiale, di
attestare e riconoscere solennemente il supremo dominio di Dio sopra tutte le
cose[4]. In questo senso gli ebrei offrivano, secondo la prescrizione di Mosè,
vari sacrifizi, i quali oltre i particolari loro fini figuravano ancora l'unico
sacrifizio del cristianesimo e ricordavano la necessità della penitenza senza
aver la forza di operare la conversione dei cuori, e la remissione dei peccati.
Al contrario il sacrifizio del cristianesimo opera per propria virtù nelle anime
il pentimento, il perdono dei peccati {97 [105]} e la santificazione degli
uomini: ed è perciò il compimento d'ogni sacrifizio, è la fonte più feconda
delle celesti benedizioni, è il mezzo più potente per condurre le anime
all'eterna felicità. Questo sacrifizio d'infinito valore offrivalo Gesù Cristo
Dio-Uomo morendo sulla croce a fine di riconciliare la caduta umanità colla
santità e colla giustizia del suo Eterno Padre, e per farci ritornare figliuoli
di Dio ed eredi del paradiso. Al compimento di questo sacrifizio in croce
dovevano, secondo le profezie, cessare tutti i sacrifizi giudaici, e questo
sacrifizio della croce si doveva in perpetuo rinnovare e rappresentare in una
maniera incruenta, cioè non sanguinata, affinchè tutti i fedeli, col partecipare
a questo sacrifizio, partecipassero di continuo ai meriti di Gesù Cristo,
porgessero a Dio il debito tributo di adorazione, di ringraziamento e di
preghiera, ed entrassero in intima comunicazione col loro divin Redentore.
Questo eccelso sacrifizio dal quale tanto bene deriva ai fedeli, ed eccita
sentimenti di fede, {98 [106]} speranza e carità, umiltà, pentimento,
obbedienza, divozione a Gesù Cristo, è la s. Messa dei cattolici, siccome fu dai
profeti predetta, e realmente da Gesù Cristo instituita. Che la Messa sia un
vero sacrifizio lo definì il Concilio di Trento con queste parole: « Se
alcuno dirà non venir nella Messa offerto al Signore un vero e proprio
sacrifizio, oppure questo sacrifizio in nient'altro consistere, che nella
partecipazione di Cristo, sia scomunicato. » (Sess. XXII, can. I).
Fra le
profezie sulla s. Messa più rilevante avvi quella del profeta Malachia; Iddio
per bocca di questo profeta parlando agli ebrei, loro dice: « Io più non ho
in voi compiacenza alcuna, e non riceverò più dalle vostre mani alcun
sacrifizio. Imperocchè dall'oriente fino all'occidente il mio nome è grande fra
i popoli, e in tutti i luoghi viene offerto al mio nome un sacrifizio mondo.
Imperocchè il mio nome sarà glorioso fra i popoli, dice il Signore degli
eserciti. » (Malach. I, 11). Inoltre per bocca del profeta Davide l'Eterno
Padre dice di Gesù Cristo (Salm. 109): Tu sei sacerdote in eterno {99
[107]} secondo l'ordine di Melchisedecco il quale offrì al Signore pane e
vino (Gen. XIV, 18).
La
Chiesa cattolica sulla scorta dei santi Padri ha sempre applicate ambedue queste
profezie alla Messa. Fra i ss. Padri che parlano di questo sacrifizio s. Ireneo,
il quale fiorì nel secondo secolo della Chiesa, dice: Cristo prese ciò che in
virtù di sua creazione era pane, rese grazie e disse: questo è il mio Corpo, e
similmente il Calice.... lo riconobbe suo Sangue, e instituì perciò il novello
sacrifizio della novella alleanza, che la Chiesa ricevette dagli apostoli, e in
tutto il mondo offre a Dio: del qual sacrifizio Malachia predisse: Dall'oriente
ecc.
È
chiaro pertanto che nelle addotte profezie il Signore annunziò:
1°
L'abolizione del sacrifizio dell'antica legge, anzi l'abolizione della legge
medesima. Ciò dimostrasi sovratutto da quelle parole di Malachia: Io più non
ho in voi compiacenza alcuna, e non riceverò dalle vostre mani alcun
sacrifizio.
2°
L'istituzione di un novello sacrifizio. Malachia infatti parla di un sacrifizio
{100 [108]} che allora non esisteva ancora, perciò non di un sacrifizio
puramente interno di ringraziamento, di lode o di buone opere che allora già
esisteva, e che gli antichi patriarchi sempre offrirono fin dal principio del
mondo. Inoltre il profeta oppone questo sacrifizio ai sacrifizi dei sacerdoti
ebrei, esterni e reali: ciò vuol dire, che sarebbe anche questo un sacrifizio
esterno e reale. Finalmente lo chiama mondo, tale cioè che non resterebbe
macchiato dall'indegnità dell'offerente, la qual cosa non può essere dei
sacrifizi puramente spirituali, i quali più o meno partecipano dei difetti
dell'umana debolezza.
3°
Annunzia un sacrifizio, che nel merito intrinseco e nell'eccellenza avrebbe di
gran lunga superati i sacrifizi giudaici e pagani. Lo chiama mondo ancora per
opposizione a quelli de' giudei e del gentilesimo, i quali od erano impuri,
ovvero non possedevano alcuna virtù interna di comunicare agli uomini la grazia
e l'interna santità.
4°
Questo novello sacrifizio doveva {101 [109]} avere una somiglianza col
sacrifizio di Melchisedecco, il quale offri pane e vino (Gen. XIV). Dunque anche
questo doveva avere l'aspetto di pane e di vino. In questo senso il Messia, che
lo avrebbe instituito e offerto, sarebbe sacerdote secondo l'ordine di
Melchisedecco, e non secondo l'ordine di Aronne (il quale doveva offrire carne e
sangue di animali) col quale nome avrebbe dovuto essere chiamato, se il profeta
con questo sacrifizio avesse voluto solamente parlare del sacrifizio sanguinoso
della croce.
5°
Questo sacrifizio inoltre non sarebbe offerto in un luogo solo, come i sacrifizi
giudaici si offrivano nel solo tempio di Gerusalemme, nè una sola volta, come il
sacrifizio della Croce, ma su tutta la superfìcie della terra, dall'oriente
all'occidente, e sino alla fine del mondo. Per questo motivo il Messia autore
del medesimo, che pel primo l'offrì, non vien semplicemente chiamato
sacerdote, ma sacerdote in eterno, perchè per mezzo de' suoi
ministri offrir doveva ogni giorno all'Eterno {102 [110]} Padre il sacrifizio
incruento della propria carne e del proprio sangue.
Siccome
dunque il sacrifizio predetto tanti anni prima da Malachia non può essere il
sacrifizio incruento della croce, nè un sacrifizio interno di lode o di buone
opere, e meno ancora un sacrifizio dei giudei e dei gentili, bisogna di
necessità intendere il sacrifizio instituito dal divin Salvatore nell'ultima
cena, il quale non cessò mai da quel tempo di essere offerto in ogni parte del
mondo dai sacerdoti della sua Chiesa. Un breve sguardo a quanto Egli operò in
quella cena, e a ciò che si opera nella Chiesa Cattolica, finirà di convincerci
di questa verità.
La
vigilia di sua passione, mentre gli apostoli mangiavano, così l'Evangelista s.
Matteo, Gesù prese del pane, lo benedisse, lo ruppe e lo distribuì ai suoi
discepoli dicendo: prendete e mangiate, questo è il mio Corpo. Poscia prese il
calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, dicendo: bevetene tutti,
imperciocchè questo è il mio Sangue, Sangue del novello testamento, il {103
[111]} quale sarà sparso per molti in remissione dei peccati. Con s.
Matteo si accordano pienamente gli altri Evangelisti, e la narrazione di s.
Paolo. E poichè qui si trovano tutti i requisiti di un vero sacrifizio, non si
può mettere in dubbio, che Gesù Cristo non abbia offerto nell'ultima cena un
vero e reale sacrifizio. Noi vi troviamo 1° la benedizione, la preghiera di lode
e di ringraziamento a Dio datore di ogni bene; 2° la immolazion della vittima:
cioè nella conversione separata in virtù delle parole di Cristo, del pane nel
Corpo e del vino nel Sangue, vi troviamo se non reale, una mistica separazione
del sangue dal corpo, e con ciò uno stato di vittima; 3° la partecipazione al
sacrifizio, che era pure una delle condizioni dell'olocausto pacifico. Poichè
ebbe Cristo offerto nell'ultima cena questo sacrifizio puro ed immacolato,
predetto dai profeti, egli lo instituì e ordinò a tutti i luoghi, popoli e
tempi, come un monumento di sua passione e morte da conservarsi per sempre nella
sua Chiesa: e perciò aggiunse: Fate ciò in memoria {104 [112]} di
me. Con le quali parole diede agli Apostoli ed ai loro legittimi successori,
i vescovi e gli altri sacerdoti, non solamente la potestà, ma il comando di fare
ciò che aveva fatto egli stesso.
Pertanto la Messa della Chiesa Cattolica è l'adempimento di questo divin
comando, ed è una continua ripetizione, e rinnovazione di quel sacrifizio
instituito da Gesù Cristo nella vigilia di sua passione. La cosa è chiara per
chiunque voglia paragonare l'uno coll'altro sacrifizio. Imperocchè come in
quello Gesù Cristo 1° ringraziò Iddio, 2° cangiò il pane ed il vino colla sua
onnipotente parola, 3° diede in cibo e bevanda ai suoi discepoli la propria
carne e sangue; così nella s. Messa sono contenute queste tre parti essenziali,
1a l'offerta col ringraziamento, l'Offertorio ed il Sanctus,
2a la transostanziazione, 3a la comunione. L'introito
della Messa fino al Vangelo, e le preghiere che accompagnano questa prima parte
non sono punto essenziali al sacrifizio, ma furono stabilite fino dai primitivi
tempi della Chiesa per innalzare sempre {105 [113]} più la maestà di questo
sublime mistero, e rendere a noi più sensibile il pregio infinito di
quest'azione.
Dalle
cose fin qui dette risulta ancor chiaro, che la Messa è essenzialmente lo stesso
sacrifizio che Gesù Cristo offrì sulla Croce, e in ciò solo si differenzia, che
quello fu cruento cioè sanguinoso, questo è incruento, cioè senza spargimento di
sangue. Tanto nell'uno quanto nell'altro vi ha la medesima vittima, il medesimo
offerente Gesù Cristo. In croce Gesù Cristo offrì sè medesimo al suo celeste
Padre in remissione dei nostri peccati; nella s. Messa offre parimenti se stesso
per noi per mezzo del sacerdote. Onde questi non pronunzia già le miracolose
parole della consacrazione in persona propria, ma a nome di Gesù Cristo; non
dice: questo è il Corpo di Cristo, ma questo è il mio Corpo. Perciò Gesù
Cristo è vero sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedecco. Egli è che
quotidianamente per mano de' sacerdoti offre sui nostri altari il sacrosanto
sacrifizio della sua carne e del suo sangue sotto {106 [114]} le specie di pane
e di vino. A questo proposito dice s. Tommaso d'Aquino: Non potendo alcuno in
veruna circostanza rappresentare la persona di un altro senza averne prima
ottenuta l'autorità, Gesù Cristo autorizzò alcuni, i soli apostoli e loro
successori, i sacerdoti, per essere i veri ministri di questo sacrifizio
eucaristico. Imperocchè a loro soli ha detto: fate questo in memoria di
me.
È
chiaro altresì che la dottrina della transostanziazione del pane e del vino nel
Corpo e Sangue di Gesù Cristo, e la credenza nella presenza reale e permanente
di lui sono i fondamenti del dogma della s. Messa. Questa dottrina e la fede
nella presenza reale ricavasi apertamente dalle parole di Cristo agli apostoli,
e dal costante sentimento della Chiesa, la quale cominciando dagli immediati
discepoli del Salvatore ha sempre creduto così. Questo pensiero deve essere per
ogni anima cristiana feconda sorgente di profondissima divozione. Imperciocchè
dopo diciannove secoli si trova Gesù nella SS. Eucaristia {107 [115]} presente
non già per simbolica ricordanza, ma in persona, vivo, e in tutta la pienezza di
sua grazia, del suo amore. Egli vi si trova Dio e Uomo in istato di vittima,
quale avvocato, pregando l'Eterno suo Padre che guardi benigno il suo popolo
pentito. Egli vi si trova per ottenere misericordia e perdono dei peccati,
specialmente a quelli, che a lui di cuore si rivolgono.
Il
grande valore e l'eccellenza della s. Messa si può da ognuno scorgere di
leggieri. Se Gesù Cristo è la vittima e l'offerente supremo, certamente la s.
Messa riesce gratissima a Dio. Se per mezzo di altri sacrifizi gli dimostriamo
già il nostro rispetto, adorazione e riconoscenza, perchè lo riconosciamo
supremo Padrone e Datore di ogni bene, la s. Messa qual sacrifizio del suo
dilettissimo Figliuolo riesce indubitatamente un sacrifizio di infinito
gradimento l'atto più grande di religione, l'adorazione più rispettosa, un
contracambio infinito. Perocchè noi offriamo al celeste Padre in adorazione e
riconoscenza il suo Figliuolo in qualità di vittima, e accompagniamo {108 [116]}
quest'infinita offerta con sentimenti personali di ossequio e di gratitudine. E
quindi si comprende eziandio che la s. Messa deve essere un sacrifizio
espiatorio pei vivi e pei defunti. Gesù Cristo in vero offri se medesimo in
croce pei nostri peccati, e questa offerta viene rinnovata nella s. Messa. In
verità per quel che è del peccato veniale, s. Tommaso scrive così: l'essenza
di questo sacramento è l'amore, il quale non solo naturalmente si eccita, ma
anche si esterna per mezzo di questo sacramento; pel qual atto di amore i
peccati veniali restano perdonati. Riguardo poi ai mortali, la virtù del s.
Sacrifizio è solo indiretta in quanto che muove Iddio a concedere le grazie del
pentimento a coloro pei quali viene offerto. Inoltre essendo il valore e
l'efficacia della Messa infinita in virtù dei meriti di Gesù Cristo, questo
sacrifizio rende la migliore soddisfazione che possa immaginarsi alla divina
giustizia per i peccati nostri e pei peccati di coloro, che sono già nell'altra
vita. Perciò nella s. Messa si prega il Signore che in vista del sacrifizio di
Gesù Cristo egli {109 [117]} voglia perdonare ai vivi e ai defunti la pena
dovuta per li peccati. Onde consegue che la s. Messa sia anche un sacrifizio
eminentemente espiatorio.
In
tutte le circostanze della nostra vita interna ed esterna, fauste ed infauste,
noi sempre possiam metterci in relazione colla s. Messa, a fine d'impetrare, pei
meriti di Gesù Cristo, grazia, consolazione e conforto nei patimenti, felicità
per noi e per altri ecc. Tutto quello che chiederete al Padre in nome mio, vi
sarà concesso, dice Cristo medesimo. Questi sono i grandi effetti che
derivano direttamente dalla s. Messa, i quali scaturiscono unicamente dalla
virtù di Gesù Cristo, nè perdono nè guadagnano dall'indegnità o dalla santità
del sacerdote.
Queste
osservazioni sulla s. Messa devono animare potentemente ogni fedele ad
assistervi non solo nei giorni festivi, ma ancora nei dì feriali, per quanto lo
permettono i doveri del suo stato.
Giova
poi il sapere, che le varie cerimonie e preghiere di cui si compone la s. Messa,
quanto alla sostanza, sono antiche {110 [118]} quanto il cristianesimo, come ce
lo dimostra la storia ecclesiastica; cosichè le preghiere e le cerimonie che si
usano oggidì nella s. Messa sostanzialmente sono le stesse, che si usavano nei
tempi apostolici. Queste preghiere e cerimonie si possono distinguere in tre
parti. Le une formano come l'apparecchio della Messa e sono:
1°
L'introito, il quale esprime una lode al Signore, e consiste in un
versicolo tratto dai salmi, o da alcun altro libro della s.
Scrittura.
2° Il
Kirie, con cui confessiamo la nostra reità e preghiamo Iddio ad usarci
misericordia.
3° Il
Gloria, nel quale ci solleviamo col pensiero alla gloria celeste e alla
patria dei santi. Per altro nei tempi di tristezza e nelle messe pei defunti il
Gloria si tralascia, come anche nelle messe feriali e votive, perchè in
queste Messe dobbiamo solo pensare alle nostre infermità, a piangere i nostri
peccati, o a suffragare le anime dei nostri trapassati.
4° Le
Collette, ossia Orazioni, nelle {111 [119]} quali il sacerdote a nome della
Chiesa prega pel popolo presente, acciocchè per la bontà di Dio e per
l'intercessione dei santi, dei quali si fa memoria, sia fatto degno di
partecipare ai santi misteri.
5°
L'Epistola ed il Vangelo sono letti dal sacerdote ad istruzione del popolo, al
quale vengono spiegati nelle Messe parochiali nei giorni festivi.
6°
L'Offertorio in cui il sacerdote dopo avere recitate alcune parole di lode a
Dio, fa a Dio in nome suo e del popolo la offerta del pane e del
vino.
7° Il
Prefazio, il quale è un invito che il sacerdote fa al popolo perchè sollevi la
mente e il cuore a Dio per prepararsi al grande miracolo che sta per compiersi
nella consacrazione del pane e del vino.
Le
altre formano come il corpo della Messa e sono quelle comprese nel Canone, il
quale sostanzialmente si può dire ordinato dagli stessi Apostoli. Ora nel Canone
si distinguono le seguenti parti principali:
1° Il
sacerdote prega per tutta la Chiesa, {112 [120]} pel sommo Pontefice, pel
vescovo e per tutti i fedeli in comune.
2° Fa
il Memento, ossia la commemorazione dei vivi, pregando solo nel segreto della
sua mente per quelle persone in particolare di cui esso intende fare una
menzione speciale.
3° Fa
la commemorazione di Maria SS., degli Apostoli, e dei Martiri principali dei
primi tempi, invocando il loro patrocinio.
4°
Messe le mani sopra l'ostia ed il calice lo offre a Dio, pregando che questi
elementi vengano transostanziati nel corpo e nel sangue di Gesù
Cristo.
5° Fa
la consacrazione del pane, proferendo le parole: Questo è il mio corpo, e
adorata col genuflettere l'Ostia consacrata, la alza perchè sia veduta ed
adorata dal popolo. Quindi consacra il vino proferendo le parole: Questo è il
calice del sangue mio, della nuova ed eterna alleanza; mistero di fede, il quale
sarà versato per voi e per molti nella remissione dei peccati: e adorato che
ha col genuflettere il Sangue del {113 [121]} nostro Divin Redentore, alza il
Calice perchè sia veduto e adorato dagli astanti.
6°
Prega l'Eterno Padre che si degni di accettare questo sacrifìcio, in sacrificio
di lode, di ringraziamento e di propiziazione.
7°
Prega per tutti i fedeli defunti, facendo nel segreto della sua mente menzione
di alcuni in particolare.
8° Fa
ancora la commemorazione di altri santi martiri.
9°
Recita il Pater noster.
10.
Spezza l'Ostia consacrata in due parti, e da una di queste spicca una particella
che mette nel calice.
11.
Invoca tre volte l'Agnello di Dio, cioè Gesù Cristo ad avere pietà di noi,
quindi recita tre belle orazioni per apparecchiarsi alla ss.
Comunione.
12.
Dette tre volte: Signore non sono degno che veniate sotto il mio tetto: cioè,
che voi entriate nel mio cuore, ma dite soltanto una parola, e l'anima mia sarà
salva, si comunica con ricevere il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, e poi
distribuisce la Comunione ai fedeli. Quando per altro vi {114 [122]} sono molti
da comunicare, per non troppo trattenere in chiesa gli altri, si aspetta a dare
la Comunione al termine della Messa. 13. Raccolti i fragmenti della SS.
Eucaristia, che sono sul lino detto Corporale, li mette nel calice, e infondendo
nel calice un po' di vino, lo consuma. Quindi si purifica le dita con vino ed
acqua che infonde nel calice, e li consuma.
Finito
il Canone, viene la conclusione della Messa, nella quale il sacerdote 1° recita
una o più preghiere per ringraziare Iddio di aver partecipato al Corpo e Sangue
di G. C. 2° dà la Benedizione al popolo. 3° legge il principio del Vangelo di s.
Giovanni, o qualche altro squarcio dei ss. Evangeli.
Dell'Altare e suoi ornamenti.
Il
santo sacrifizio della Messa sì offre sopra un altare, il quale deve essere
decentemente ornato. L'altare come strumento del sacrifizio fu in uso fino dai
tempi primitivi. Di fatto noi leggiamo nella Bibbia {115 [123]} che Giacobbe
eresse in altare la pietra, sulla quale aveva posato il capo la notte, in cui
era stato favorito della celeste visione di una scala misteriosa. Nella legge
mosaica è celebre l'altare eretto da Mosè nel tabernacolo, e poi quello del
tempio di Gerusalemme. Quest'uso passò nella legge evangelica, e cominciò fino
dai tempi apostolici; perocchè troviamo che s. Paolo nelle sue lettere parla
dell'altare e della mensa, su cui offrivasi l'Eucaristia. (I Corint. X, Hebr.
X). L'altare poi con tutti i suoi ornamenti giova assai a nutrire la nostra
pietà e religione. In fatti l'altare considerato in se stesso ci ricorda
naturalmente sia la tavola sopra cui Gesù Cristo fece l'ultima cena co' suoi
discepoli, sia la croce sulla quale egli si sacrificò per la nostra salute. Per
legge antichissima della Chiesa, fatta sino dai tempi degli Apostoli, fu
stabilito che l'altare deve essere di pietra, o almeno di pietra deve essere
quella parte, sopra cui si pone l'ostia e il calice per la consacrazione: perchè
l'altare è figura di Gesù Cristo, il quale nella sacra {116 [124]} scrittura è
chiamato pietra angolare, a cagione della sua forza divina, ed è pietra
fondamentale della Chiesa. L'altare deve essere consacrato secondo l'uso
praticato fin dai primi secoli della chiesa, e che probabilissimamente fu
prescritta dagli Apostoli stessi. Questa consacrazione significa la santità di
Gesù Cristo, che è raffigurato nell'altare, e dal quale deriva nei fedeli ogni
santità: e che nel consacrarlo si chiudono dentro al medesimo delle reliquie di
santi per significare l'intima unione che i santi hanno con Gesù Cristo, e farci
comprendere quanto sia grande la loro intercessione presso a Dio in nostro
favore. E questa usanza rimonta alla più remota antichità, e rammenta il tempo
delle persecuzioni, nel quale i sacerdoti erano nella dura necessità di
celebrare la santa messa nei luoghi sotterranei, dove le tombe dei martiri
servivano di altare. L'altare, quando vi si celebra la s. Messa, deve essere
coperto di tre tovaglie l'una sull'altra, le quali rappresentano i lini in cui
fu ravvolto il corpo di Gesù Cristo, e messo nel {117 [125]} sepolcro. La croce,
posta sull'altare in mezzo ai candelieri, significa il trionfo che l'Agnello
divino riportò sopra il mondo non col ferro, ma col legno, come era stato
predetto dai profeti, cioè coi meriti della sua passione e morte sull'albero
della croce. Le fiammelle delle candele accese a destra e a sinistra sono un
simbolo della luce che il Vangelo ha portato ai giudei e ai gentili, e della
viva fede e ardente carità che deve essere nel cuore di coloro che assistono
alla s. Messa. Si usa anche di collocare sopra l'altare le reliquie dei Santi
per esporle alla venerazione dei fedeli e per significare che le loro anime sono
già in cielo intorno al trono di Dio come le loro ossa si trovano quivi in terra
vicino all'Agnello immacolato, offerto sotto le specie eucaristiche. Vi si
pongono anche dei fiori o naturali od artificiali per dimostrare, che tutto ciò
che vi ha di bello e vago quaggiù deve essere consacrato alla gloria di Gesù
Cristo, e che la sua Chiesa è come un giardino ove è una grande varietà di fiori
spirituali. {118 [126]}
Del Calice e suoi ornamenti.
Per
celebrare la s. Messa si deve adoperare un piattello detto patena, su cui si
pone l'Ostia, e un calice dentro al quale si versa il vino. Noi troviamo che nei
primi tempi della Chiesa si usavano non solo calici d'oro o d'argento, ma
talvolta quando la necessità lo richiedeva, anche calici di legno, di pietra, di
vetro o di creta. Da lungo tempo per altro sia per maggior riverenza, sia
particolarmente per impedire le profanazioni che possono accadere quando il
calice è di materia fragile, la Chiesa ordinò che i calici siano d'oro o
d'argento o almeno di stagno colla coppa indorata al di dentro, e le patene
siano anch'esse d'oro o d'argento o almeno di rame dorato nella parte superiore.
Sopra il calice durante la messa si mette un pezzo di lino quadrangolare detto
palla reso alquanto duro con amido per impedire {119 [127]} che alcuna
cosa vi cada dentro. Questo pezzo di lino non deve essere coperto di seta, nè
avere alcun ricamo, ma solo una croce nel mezzo. Sul calice si mette anche un
pannolino, che deve essere lungo più di un palmo, e non mai indurito con amido,
per pulirne e asciugarne la coppa. E questo lino è detto purificatore. Il
calice prima dell'offertorio e dopo la comunione non si deve lasciare scoperto
sull'altare; ma deve essere coperto con un pezzo di stoffa per lo più di seta,
chiamato il velo. E ciò sia per riverenza verso questo vaso sacro, sia
per conservarlo pulito e mondo. In fine quando si porta il calice all'altare,
sopra il velo si pone una borsa quadrangolare della medesima stoffa e dello
stesso colore delle paramenta, la quale racchiude un lino candido e pulito reso
duro con amido. Questo lino si stende sul mezzo dell'altare e sopra di esso si
pone il calice e l'ostia, ed è detto corporale, perchè sopra di esso si
consacra e in esso si colloca il corpo sagratissimo del nostro divin Redentore.
{120 [128]}
Delle vesti sacerdotali.
Se
nella società civile si usano abiti distinti secondo le diverse civili funzioni
che si hanno da compiere, e se la forma e il colore delle vestimenta cangiano
fra le persone di mondo, e variano secondo i giorni di solennità, di esultanza o
di duolo, non dovrà certamente fare maraviglia se nella società cristiana si
usino eziandio ornamenti particolari ne' suoi divini uffizi. Ciò si conforma
maravigliosamente alla nostra natura la quale ha bisogno che i sensi siano
scossi dall'esterno apparato delle cose per sollevarsi a contemplare la
sublimità dei santi misteri. Perciò molto sapientemente la Chiesa vuole che i
suoi sacerdoti nel celebrare la s. Messa si adornino di vesti particolari
benedette dal vescovo a questo fine, le quali si chiamano paramenti
sacri.
Da
principio queste vesti nella forma erano simili a quelle usate dai laici
costituiti {121 [129]} in dignità: e solo si differivano nella preziosità della
materia e del lavoro conciossiachè sembri che anche nelle catacombe nel
celebrare la s. Messa, quando si poteva, si usassero vesti tessute d'oro e
ornate di gemme. I primi cristiani solevano consacrare al servizio di Dio l'oro
e le pietre preziose che avevano usate ad offenderlo quando erano ancora
gentili. Essendo poi quelle forme di abiti andate in disuso fra i laici, la
Chiesa ne conservò l'antica forma con qualche modificazione. Questi abiti
debbono essere, come dicemmo, benedetti dal vescovo, e il sacerdote tutte le
volte che le indossa recita preghiere alla misteriosa loro significazione.
Queste vesti sono le seguenti:
1°
L'amitto ossia pannolino con una croce nel mezzo, col quale il sacerdote
si copre il capo. Esso ci ricorda il velo con cui i Giudei coprirono la faccia
del Salvatore, schiaffeggiandolo nella sua passione. Posto sul capo del
sacerdote, esso figura l'elmo militare, e gli ricorda la fortezza con cui deve
combattere le battaglie del {122 [130]} Signore e la modestia e il rispetto con
cui deve accostarsi ai santi misteri. Quest'ornamento, dice il papa Innocenzo
III (Del mist. della s. Messa), ci rammenta che Gesù Cristo per operare
la nostra salute ha nascosto la sua divinità sotto il velo dell'umana
natura.
2° Il
camice, che nell'impero romano portavano le persone ragguardevoli, e che
la Chiesa ha conservato, perchè colla sua bianchezza indica l'interna purezza,
che deve avere il sacerdote per salire all'altare e immolare l'Agnello
immacolato. Esso ci ricorda la veste bianca, che l'empio Erode fece mettere al
divin Salvatore per derisione, e c'insegna a sopportare, ad esempio di lui, con
pazienza le irrisioni degli uomini, che cogli scherni perseguitano la nostra
virtù.
3° Il
cingolo, il quale simboleggia la corda colla quale il nostro divin
Salvatore fu legato dai Giudei nell'orto degli olivi. Esso ricorda la castità e
la repressione d'ogni carnale dilettazione, in cui deve distinguersi il sacro
ministro. {123 [131]}
4° Il
manipolo anticamente era un piccolo fazzoletto che teneva luogo della
stola, quando questa era divenuta un semplice ornamento e serviva, come già la
stola, ad asciugare il sudore e le lagrime. Dopo il secolo duodecimo divenne
esso pure un semplice ornamento nelle vesti sacerdotali, il quale si pone sul
braccio sinistro. Conservò tuttavia il primiero suo significato, quello cioè dei
travagli, dei sudori, delle lagrime, a cui va soggetta la vita cristiana. Legato
al braccio del sacerdote significa le ritorte con cui l'adorabile Redentore fu
avvinto alla colonna.
5° La
stola, è un pannolino di cui le persone ricche servivansi per asciugarsi
il volto. Al sesto secolo ella cangiò d'uso e di forma, imperocchè cominciò a
farsi di stoffa in forma lunga e stretta, qual si vede oggidì. Ella venne quindi
ad essere una veste d'onore e di autorità, simbolo della potenza annessa al
carattere sacerdotale: e perciò è adoperata dal sacerdote in tutte le funzioni,
che hanno per oggetto immediato il corpo di Gesù Cristo, e nella {124 [132]} più
parte degli altri sacri misteri. Ella significa quella gloria ed immortalità,
che la prevaricazione del primo Adamo ci aveva fatto perdere, ma che ci ha
ricuperata il secondo Adamo, Gesù Cristo. Questo indumento sacerdotale che lega
il collo e viene a incrocicchiarsi sul petto del sacerdote, mentre celebra la s.
Messa, rappresenta pure al vivo la fune da cui era legato Gesù Cristo quando
saliva al Calvario. La croce, che forma sul petto al ministro di Dio, gli
insegna che tutta la potenza sacerdotale sta nella croce di Gesù Cristo.
6° La
pianeta, detta in latino casula (casella), è così chiamata, perchè
nell'antica sua forma era una cappa che aveva la figura di una capanna e copriva
tutta la persona del sacerdote dal collo in giù, con una sola apertura al di
sopra per entrarvi il capo. I ministri che assistevano il sacerdote all'altare
sollevavano questo pesante mantello mentre esso aveva da alzare le mani o
incensando col turibulo o sollevando l'ostia o il calice, la quale usanza si
conserva ancora oggidì, benchè {125 [133]} non ve ne sia più il bisogno. La
pianeta significa la veste inconsutile, cioè senza cucitura, della quale Gesù
Cristo fu spogliato dai manigoldi nella sua crocifissione. Sovraponendosi a
tutte le altre vesti essa è segno della carità, che deve spandersi sovra tutte
le nostre virtù. Dinota eziandio il soave giogo della legge di Gesù Cristo, che
i sacerdoti e i fedeli debbono portare ogni giorno per conseguire la grazia e la
gloria celeste.
Nelle
messe solenni il diacono indossa una veste appellata dalmatica, così
detta per esserne stato primieramente introdotto l'uso nella Dalmazia: e il
suddiacono si adorna d'una veste detta tunicella ossia piccola tonaca.
Oggidì tra la dalmatica e la tunicella non è differenza di forma: ma anticamente
la prima era assai più ampia e più lunga e più ornata della seconda. Amendue
queste vesti hanno larghe maniche per indicare che i sacri ministri devono
largheggiare nelle opere di carità ed in prontezza nel servizio del Signore. In
certe sacre funzioni il sacerdote veste {126 [134]} il piviale che
anticamente era una specie di mantello, il quale soleva portarsi in tempo
piovoso, e per questo aveva attaccato un capuccio da coprire il capo. Di esso
rimane ora un vestigio in quel pezzo a forma di mezza luna che pende di dietro.
Il piviale strettamente parlando non è un abito sacro, perciò non è benedetto e
non è portato esclusivamente dal sacerdote come è la pianeta, ma si usa anche
dagli altri ministri a lui inferiori.
Il
piviale significa anche al pari della pianeta la carità evangelica, che deve,
per così dire, coprire tutte le opere del sacro ministro. Gli abiti sacerdotali
coi loro simboli servono a pascere la pietà non solo del sacerdote che li porta,
ma anche dei fedeli, che assistono all'augusto sacrifizio. Perciò l'amitto ci
deve ricordare e raccomandare a tutti la modestia negli abiti, il raccoglimento
e il silenzio nella casa del Signore. Il camice e il cingolo la purezza di mente
e di cuore; il manipolo, la vita laboriosa e le buone opere, che noi dobbiamo
offrire insieme colla {127 [135]} vittima sacrosanta; la stola deve rammentare a
tutti noi cristiani la dignità della nostra vocazione per cui possiamo offerire
sacrifizi sulla terra, e regnare in cielo; la pianeta il giogo della religione,
alla quale ci dobbiamo sottomettere in ogni circostanza della vita. Finalmente
tutto l'esteriore apparato delle sacre funzioni deve parlare agli occhi nostri
in guisa da sollevare l'anima nostra a Dio per farci rilevare la eccellenza e la
grandezza del s. sacrifizio della Messa e di tutti i divini misteri.
Del colore delle vesti sacerdotali.
La
santa Chiesa per meglio avvertire i fedeli della qualità dei Misteri e dei Santi
al cui onore si celebra dì per dì la s. Messa, ha introdotto vari colori nelle
sacre vesti. Questi colori secondo i sacri riti sono cinque: il bianco, il
rosso, il verde, il violetto ed il nero. Il color bianco è simbolo di gioia e
gaudio, {128 [136]} ed anche della purità e del candore della virtù. Quindi
convenientemente si adopera nelle feste in onore di Gesù Cristo, di Maria SS.,
degli Angeli, di quei Santi, il cui particolar distintivo è la purezza e santità
di vita. Lo stesso color bianco si usa nelle feste dei Pontefici, dei Dottori,
dei Confessori, delle Vergini, delle Vedove e degli altri Santi non
martirizzati. Esso è un invito per noi alla purità ed alla santità.
Il
rosso, che è il colore del sangue e del fuoco, si usa nelle feste dei ss.
Martiri, che col loro sangue suggellarono la fede cristiana, ed anche in quelle
dello Spirito Santo, che scese sopra gli Apostoli in forma di lingue di fuoco.
L'uffizio di esso è di illuminare ed infiammare i nostri cuori. Questo colore
rammenta a noi il dovere, che abbiamo di professare la fede e di praticare la
morale di Gesù Cristo, a costo eziandio di sacrifizio fosse anche quello della
nostra vita; ed il fervore, con cui dobbiamo servire al Signore.
Il
verde si adopera nelle Domeniche dalla {129 [137]} SS. Trinità all'Avvento e
dall'ottava dell'Epifania alla Settuagesima, sia nelle Domeniche sia negli altri
giorni di tal tempo quando in essi non occorra la festa di qualche Santo. Ora il
color verde è il simbolo della speranza, perchè generalmente esso è il colore
delle foglie delle piante, le quali, quando sono bene verdeggianti, lasciano
sperare a tempo suo abbondanza di frutti. Perciò meritamente la Chiesa, quando
non è occupata da altri sentimenti di gioia o di tristezza, desidera di eccitare
vivamente nei nostri cuori quello della speranza, presentandoci il color verde
nei suoi abiti sacerdotali.
Il
violetto, la cui tinta è mezzana tra l'oscuro ed il chiaro, è simbolo di dolore
misto a conforto; quali sono appunto i due sentimenti, che la Chiesa intende di
svegliare negli animi nostri nell'Avvento e nella Quaresima per muoverci a fare
penitenza dei nostri peccati. Laonde quel colore viene usato in tali tempi.
Nell'Avvento l'anima sospira la venuta del Salvatore dentro di sè, e geme sopra
i suoi peccati {130 [138]} coi quali lo ha contristato: spera per altro, che
questi le verranno perdonati, e che essa otterrà la grazia di ricevere dentro di
sè il suo Gesù. Nella Quaresima poi il cristiano piange i suoi peccati, che
furono la causa della passione e morte del suo divin Redentore, ma si conforta
colla dolce speranza del perdono.
Il
nero, che è simbolo della morte e di duolo, si adopera nelle messe e negli
uffici pei defunti per così esprimere al vivo il cordoglio che la Chiesa sente
nel vedere i suoi figli rapiti da quella morte, che è una punizione della colpa
primitiva, e più ancora per le pene acerbissime, che generalmente debbono
soffrire in purgatorio prima di essere ammesse al godimento del cielo: ed anche
per mettere sotto gli occhi degli astanti il salutare pensiero della morte
acciocchè si distacchino da questo mondo, e si preparino a quel fatale
passaggio. {131 [139]}
Preghiere per la s. Messa in suffragio dei defunti
Istruzione.
Per
applicare la Messa e per assistervi in suffragio dei morti non è necessario che
questa sia una Messa da Requiem coi paramentali neri. Qualunque Messa
benchè celebrata da vivo coi paramenti di colore vivo può essere applicata ai
defunti. Perciò ogni dì si possono suffragare i defunti col s. Sacrifizio della
Messa; nulladimeno la Chiesa per richiamarci in modo più espressivo la memoria
dei morti, e per muoverci più efficacemente a pregare per loro, talvolta
permette, e nel dì della solenne commemorazione di tutti i defunti, {132 [140]}
comanda a' suoi ministri di celebrare la Messa, che si dice da Requiem,
coi paramentali di color nero.
Questa
Messa è detta da Requiem perchè l'introito comincia con la parola
Requiem, e perchè la Chiesa per le mani del sacerdote offre il santo
sacrifizio in modo particolare per ottenere da Dio alle anime purganti la
requie, ossia il riposo eterno, il perdono delle loro colpe. Questa Messa è
accompagnata da alcune cerimonie particolari, di cui è bene conoscere la cagione
ed il significato.
La
Chiesa nella persona del suo ministro si veste di ornamenti lugubri per indicare
ai viventi, secondo le parole di s. Paolo, che essa qual tenera madre geme con
quei che gemono, piange con quei che piangono; e per eccitare i figli suoi ad
imitarla nell'afflizione, ed a volgersi al misericordioso Iddio pregandolo che
consoli quelle anime benedette, introducendole nel regno della
pace.
Il
sacerdote ai piedi dell'altare non dice il Salmo Judica me, Deus, per
mezzo del {133 [141]} quale il profeta Davide esprimeva la gioia che provava
nell'accostarsi al sacro tempio, al tabernacolo del Signore; imperocchè la
Chiesa ricorda che i figli suoi, pei quali prega, non sono ancora entrati nella
gioia del Signore, nella celeste Gerusalemme.
All'introito il sacerdote non fa sopra se stesso il segno della santa
croce, ma lo fa sul messale, indicando con ciò che le anime dei trapassati hanno
bisogno di partecipare al sacrifizio della croce per la suprema espiazione dei
loro peccati.
Si
tralascia parimenti il Gloria e l'Alleluia in segno di mestizia.
Il Vangelo essendo la buona novella della pace, che Gesù venne donare al mondo,
dopo essere letto non è baciato dal sacerdote, come si fa nelle messe dei vivi,
perchè i defunti pei quali più particolarmente si celebra non hanno ancora
ricevuto il bacio dell'eterna pace, e non sono ancora ammesse al godimento di
Dio.
Il
sacerdote tralascia pure il segno della santa croce che fa ordinariamente sopra
l'acqua prima di versarne alcune gocce {134 [142]} nel vino, perchè quest'acqua
rappresentando i fedeli viventi, la Chiesa vuole che questi sappiano che il
frutto speciale della s. Messa ora deve essere applicato ai defunti; oppure
anche perchè le anime purganti essendo già indissolubilmente unite con Gesù
Cristo raffigurate nel vino (come ce lo insegna s. Cipriano) non hanno più
bisogno di essere benedette per conseguire questa unione.
Avanti
la comunione il sacerdote pronunzia bensì, come nelle altre messe, tre volte
queste parole: O agnello di Dio, che togliete i peccati del mondo, ma
invece di aggiungere la preghiera: abbiate pietà di noi, egli sostituisce
quest'altra: date loro il riposo eterno. Questo fa, affinchè intendiamo
che il sangue della vittima divina fu offerto a Dio specialmente per la
liberazione dei nostri fratelli defunti, in soddisfazione dei loro
peccati.
Nella
Messa solenne pei defunti i ministri non si danno vicendevolmente la pace,
perchè questa si dà solo come apparecchio di carità alla santa Comunione. Ma
anticamente {135 [143]} la Messa da Requiem si celebrava sempre dopo
un'altra, nella quale tutto il clero già si era comunicato, perciò non c'era più
bisogno di questa mostra esteriore di mutuo perdono nella Messa pei morti.
Infine non si benedice il popolo affinchè i fedeli presenti siano avvertiti che
il più lieve peccato è di ostacolo a ricevere da Dio quella pienezza delle sue
benedizioni che si riceve solo nel gaudio eterno del paradiso, nel quale non si
può entrare se non dopo avere pagata colle pene del purgatorio ogni debito alla
divina giustizia.
Tutte
queste cerimonie tendono non solo a sollevare a Dio i nostri cuori, ma ad
eccitarli ad una tenera compassione per le anime purganti. Sebbene ogni
preghiera fatta durante la s. Messa coll'intenzione di suffragare quelle povere
anime possa essere loro salutare, sembra nondimeno che siano da preferire quelle
orazioni, le quali sono preparate a bella posta a questo scopo. Per esempio si
potrebbe adoperare la seguente: {136 [144]}
Preghiera avanti la Messa.
O Dio
infinitamente giusto, che punite ogni colpa con sommo rigore, perciò tenete le
anime purganti in quel carcere di tenebre e di dolori, finchè abbiano pagato
pienamente ogni debito alla vostra infinita giustizia: ma nel tempo stesso da
Padre misericordioso siete disposto ad accettare le nostre preghiere ed opere
meritorie, e sovratutto il santo Sacrifizio della Messa in isconto dei loro
debiti, io imploro la vostra clemenza pel sollievo e per la liberazione delle
anime de' miei fratelli, che la vostra giustizia tiene legate in quella oscura
prigione. O Dio di consolazione e di grazia, son vostri figli quei che soffrono
là in quel carcere. Voi li amate, ed essi pure vi amano: eglino sospirano di
vedervi e godervi con quell'ardore, con cui il cervo sitibondo desidera l'acqua
della fontana per refrigerarsi. Il loro più grande tormento, o mio Dio, si è il
non poter ancora veder Voi, nè possedere {137 [145]} Voi, che siete l'unico
oggetto dei loro voti ardenti e la loro unica felicità. Mostrate loro il vostro
volto beato, e saranno nella gioia. Essi vi aspettano, Signore, in una perfetta
sommissione, ma oh! quanto è doloroso per loro il rimanere lontani da Voi,
quanto è amaro per loro questo esiglio, quanto duro il non potervi vedere! Fate,
o Dio mio, che la compassione che io sento per essi sia loro di giovamento;
ricevete in loro suffragio le preghiere che a Voi innalzo, le quali affinchè
siano efficaci presso alla divina vostra misericordia, io unisco coi meriti
infiniti della vittima di propiziazione, che sta per immolarsi sopra questo
altare, a fine di placare la vostra giustizia, e soddisfare alla vostra Maestà
oltraggiata dai peccati degli uomini. O mio Dio, rivolgete gli occhi vostri
sopra Gesù Cristo vostro divin Figliuolo, nel quale avete riposto ogni vostra
compiacenza, il suo sangue, che insieme colla vostra Chiesa io vi offro, grida
misericordia per quelle sante anime: perciò noi speriamo che Voi ascolterete
questa voce così possente, e a Voi sì cara. {138 [146]}
Tutte
le anime del purgatorio mi sono unite col vincolo della carità, io adunque, Dio
mio, vi prego per tutte indistintamente, chè tutte le desidero liberare da
quelle pene; ma siccome alcune di loro hanno particolari diritti alle mie
preghiere, gradite, mio Dio, che io ve le offra oggidì in modo speciale pel
sollievo e per la liberazione di N. N. (Nominate il defunto, o li defunti pei
quali volete più particolarmente pregare).
Degnatevi, Signor mio, di loro applicar abbondantemente i meriti del santo
sacrifizio della Messa, che ora intendo di ascoltare in loro suffragio. Io vi
dimando questa grazia per Gesù Cristo, vostro Figlio, nostro Signore. Così
sia.
Durante il Confiteor.
Ohimè!
se il legno verde è trattato in simil modo, che sarà del legno secco? Se anime
così sante hanno tuttavia a soddisfare alla vostra giustizia, o mio Dio, con sì
duri e sì lunghi patimenti, ahimè infelice! io che sono un peccatore sì grande
{139 [147]} che cosa non avrò da temere dai vostri severi giudizi? Dio
Santissimo, che siete offeso dalle nostre colpe, ma siete anche placato dal
nostro pentimento, io vi confesso con umiltà i peccati miei, il mio amor proprio
non può dissimularmeli più; io confesso col pubblicano che non sono degno nè
anche di entrare nella vostra casa e che ben lontano dal meritare grazie per
altri, alcuna non ne merito per me stesso. Ma io confido nella promessa che Voi
mi avete fatto di non mai rifiutare un cuore contrito ed umiliato. La vostra
infinita bontà già ha concesso il perdono de' miei peccati, e questo primo
favore mi fa sperare che Voi mi concederete ancora quello che io imploro per
l'accrescimento della mia contrizione, e per la liberazione delle anime del
purgatorio.
All'Introito.
Fatemi
concepire, o Signore, un salutare timore de' miei peccati, che io reputo {140
[148]} leggieri, e che Voi punite con tanto rigore in quelle anime, alle quali
sta preparato il regno celeste. Fatemi compire quaggiù tutta la mia penitenza,
affinchè più niente me ne resti a fare nell'altra vita. Misericordioso Gesù,
esaudite la mia preghiera e per me e pei nostri fratelli, che soffrono nelle
fiamme punitrici da Voi accese a fine di purificarli; o piuttosto rivolgete gli
occhi misericordiosi, o Agnello innocente, sopra la penitenza che Voi avete
fatto per loro e per me.
Al Kyrie.
O buon
Gesù, le replicate suppliche della vostra Chiesa salgano al vostro trono come
incenso di soavissimo odore. O Agnello di Dio, che cancellate i peccati del
mondo, dite in questo momento a quelle care anime, come un dì al buon ladrone;
Oggi voi sarete meco in paradiso. {141 [149]}
All'Oremus per tutti i fedeli defunti.
O Dio
Creatore e Redentore di tutti gli uomini, alle anime dei vostri servi e delle
vostre serve, che ci hanno preceduto col segno della croce, e che Voi avete
trovato degne bensì della vostra amicizia, ma non ancora abbastanza pure da
essere ammesse nella vostra gloria, concedete il perdono che la vostra Chiesa
colle umili e fervorose sue preghiere vi domanda, e che esse aspettano dalla
vostra misericordia, Voi che essendo Dio vivete e regnate per tutti i secoli dei
secoli. Così sia.
All'Epistola.
Voi ci
avete mandati i vostri profeti, o Signore, affinchè c'insegnassero che noi non
abbiamo quaggiù dimora permanente, e che avremo un giorno da abitare nella casa
della nostra eternità. Fu da voi decretato, Dio mio, sempre giusto nella vostra
{142 [150]} volontà, che noi dovessimo un giorno morire, e che dopo la morte
avessimo da rendere a Voi un conto rigoroso di tutte le nostre azioni. Si sono
già presentate al vostro tribunale quelle anime, per le quali oggi vi prego. Ah!
se voi non le avete trovate ancora abbastanza sante per essere ammesse al
godimento della vostra gloria, accettate benignamente in espiazione dei loro
peccati il sangue divino che sta per essere versato su questo altare, e che
cancella tutti i peccati del mondo.
Non
entrate ancora, o giusto Giudice, in giudizio col vostro servo, che vi prega; ma
fate che io fin da questo momento mi giudichi da me stesso con severità, e senza
indugio facendo frutti di vera penitenza plachi il vostro sdegno per evitare un
giorno i colpi della vostra giustizia.
(Se la messa da
requiem è cantata si potrà leggere il Dies irae come
segue):
Dies irae, dies illa
Solvet saeclum in
favilla:
Teste David cum
Sybilla. {143 [151]}
Quantus tremor est futurus,
Quando Judex est
venturus
Cuncta stricte
discussurus!
Tuba mirum spargens sonum
Per sepulchra
regionum
Coget omnes ante
thronum.
Mors stupebit et natura,
Cum resurget creatura
Judicanti
responsura.
Liber scriptus proferetur,
In quo
totum continetur,
Unde
mundus iudicetur.
Judex ergo cum
sedebit,
Quidquid latet, apparebit:
Nil inultum remanebit.
Quid sum miser tunc dicturus?
Quem patronum
rogaturus
Cum vix iustus sii
securus?
Rex tremendae
maiestatis,
Qui
salvandos salvas gratis,
Salva
me, fons pietatis.
Recordare, Jesu
pie,
Quod
sum causa tuae viae:
Ne me
perdas illa die.
Quaerens me sedisti
lassus:
Redemisti Crucem passus:
Tantus labor non sit cassus.
Juste Judex ultionis,
Donum fac remissionis
Ante diem rationis.
{144 [152]}
Ingemisco tamquam reus:
Culpa rubet vultus
meas:
Supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam
absolvisti,
Et
latronem exaudisti,
Mihi
quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae;
Sed tu bonus fac
benigne,
Ne
perenni cremer igne.
Inter oves locum
praesta,
Et ab
hoedis me sequestra,
Statuens in parte dextra.
Confutatis maledictis,
Flammis acribus
addictis,
Voca me cum
benedictis.
Oro supplex et acclinis,
Cor
contritum quasi cinis;
Gere
curam mei finis.
Lacrymosa dies
illa,
Qua
resurget ex favilla.
Judicandus homo reus,
Huic ergo parce
Deus:
Pie
Jesu Domine,
Dona
eis requiem. Amen.
Offertorio. Domine Jesu Christe, Rex gloriae, libera
animas omnium fìdelium defunctorum de poenis inferni, et de profundo lacu;
libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas tartarus, ne cadant in obscurum: sed
signifer sanctus Michaël {145 [153]} repraesentet eas in lucem saactam: Quam
olim Abrahae promisisti, et semini eius.
Y.
Hostias et preces tibi, Domine, laudis offerimus: tu suscipe pro animabus illis,
quarum hodie memoriam facimus: fac eas, Domine, de morte transire ad vitam. Quam
olim Abrahae promisisti et semini eius.
Al Vangelo.
Gesù,
divin Redentore, Voi siete quell'acqua viva che sale sino alla vita eterna: Voi
siete quella manna celeste che non lascia morire, chi se ne ciba, della morte
dei peccatori: Voi avete detto che colui il quale mangia la vostra carne e beve
il vostro sangue, avrà la vita eterna, e sarà da Voi risuscitato nell'ultimo
giorno; che chi si ciba di Voi abita in Voi, e Voi abitate in lui stesso. O
divin Salvatore, che siete la risurrezione e la vita, quelle anime che gemono
ancora da Voi lontane, si sono nutrite della vostra carne, ed hanno bevuto il
vostro sangue, Voi siete entrato in loro, ed elleno si sono unite strettamente
ed intimamente con Voi. {146 [154]}
Adunque
compite ora le promesse della vostra pietà, ascoltate i loro lamenti, lasciatevi
muovere dai loro gemiti, non tenetele più a lungo da Voi lontane. O Gesù
Salvatore, Voi che avete tratto fuori Lazzaro vostro amico dal sepolcro, cavate
ancora quelle sante anime, che sono nella vostra grazia ed amicizia, cavatele da
quell'oscura prigione, che è per loro una tomba oltre modo trista essendo ivi
trattenute lontane da Voi, che siete la loro vita, la loro speranza, il loro
amore, la loro felicità. Ricordatevi che Voi avete sparso per esse tutto il
vostro sangue. Se la vostra Maestà offesa non è ancora soddisfatta, prendete nel
ricco tesoro dei vostri meriti la soddisfazione che ancora esige la vostra
giustizia.
All'Offertorio.
Sebbene
io non sia che una delle vostre creature soggette alla morte ed al peccato,
nulladimeno ho la consolazione di potervi offerire, o Dio eterno e vivo, per le
{147 [155]} mani del Sacerdote quest'ostia immacolata, e questo calice prezioso,
che devono fra breve essere cangiati nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo,
vostro Figlio diletto. Ricevete, o Signore, questo augusto sacrifizio in odore
di soavità, e gradite che io unisca a questa santa offerta il sacrifizio del mio
corpo, dell'anima mia, de' miei beni, della vita mia, e di tutto quanto mi
appartiene. Santificate questo sacrifizio che vi presento unitamente a quello
del vostro divin Figliuolo, affinchè esso abbia la virtù di muovere il vostro
cuore in favore di quelle anime, le quali la purezza vostra incompatibile, anche
con le più leggiere macchié, ritiene ancor lontane dalla dolce vostra presenza.
Deh! piegatevi ad applicar loro l'espiazione, che Gesù Cristo per esse vi offrì
sulla croce: alla vista dei grandi suoi patimenti, e di quel sangue che vi è sì
caro, siate loro propizio, o Signore; asciugate le loro lagrime, comandate al
principe del vostro esercito di andarle a liberare, e più non tardate ad
ammetterle a cantare le vostri lodi in quel regno da Voi promesso {148 [156]} ai
vostri amanti. O buon Dio, rendete me pure a Voi fedele, infiammatemi del vostro
amore fino all'ultimo mio respiro, così che impiegando tutta la mia vita quaggiù
nel servirvi nell'amarvi, dopo la morte non abbia a soffrire i dolori e i
tormenti di quell'esiglio, dal quale supplico a liberare quelle
anime.
Al Lavabo.
Lavatemi, o Signore, nel sangue dell'Agnello, affinchè io purificato da ogni
macchia, e adorno della veste nuziale della grazia vostra, possa rendere a Voi
gradite le preghiere che vi porgo per le anime confinate nel carcere del
purgatorio, ed affinchè io pure possa essere ammesso un giorno con loro alla
bella festa, che a' vostri eletti Voi preparate in cielo.
Al Prefazio.
E
tempo, o anima mia, che t'innalzi al di sopra di tutte le cose terrene, e ti
sollevi {149 [157]} verso il cielo per apparecchiarti degnamente al grande
sacrifizio che sta per compiersi. Deh, voi Redentore mio amabilissimo, traetemi
a voi, e fate che io più non trovi alcun piacere altrove che in Voi, non più
alcuna gloria che nel servire a Voi, non più altra felicità che nell'amar Voi di
tutto cuore. Gradite che io da questa terra unisca la mia debole voce ai divini
concerti dei beati Spiriti, e che da questo luogo di esiglio ripeta quell'inno,
che essi cantano continuamente nel soggiorno della gloria: Santo, Santo, Santo è
il Dio che noi adoriamo, il Signore, il Dio degli eserciti. E poichè Voi stesso
ci avete posto in mano i mezzi onde placare la vostra giustizia, non solamente a
favor mio, ma ancora in suffragio delle anime dei nostri fratelli defunti,
degnatevi mio Dio, d'accettare questi omaggi di adorazione, questi cantici di
gloria, acciocchè la mia preghiera riesca efficace presso del vostro trono. {150
[158]}
Preghiera durante il Canone.
Noi Vi
offriamo con profonda umiltà, o Dio onnipotente e principio di ogni bene, i doni
che sono presenti su questo altare, per le mani di Gesù Cristo nostro Salvatore
e primo Sacerdote. Fate che l'offerta che egli fa di se stesso alla Maestà
vostra sia una sorgente di grazie, e di fortezza a tutti i fedeli sparsi sopra
la terra, i quali ancora combattono per la gloria del Cielo in mezzo alle
tentazioni ed ai pericoli di questa vita; sia di sollievo a quelli che già
usciti dai pericoli di questo mondo soffrono ancora per le ferite che
riportarono nelle spirituali battaglie quando erano sopra la terra.
All'elevazione dell'Ostia.
O Gesù
mio Salvatore, vero Dio e vero uomo, io credo che voi siete realmente presente
in quest'Ostia sacrosanta. Io vi adoro di tutto cuore: Voi siete il mio sovrano
{151 [159]} Signore: Voi per me avete data la vita. Possa io sacrificare la mia
in compenso di avervi obbligato coi miei peccati a sacrificare la vostra
sull'albero della croce.
All'elevazione del Calice.
O
preziosissimo Sangue, che siete stato per noi sparso sul Calvario, io vi adoro;
mondatemi da ogni macchia, e inebbriatemi di amore celeste, Gesù mio, io credo
in Voi, realmente presente in questo calice, io spero che esaudirete le mie
preghiere; mentre io Vi ringrazio, ed a Voi mi consacro per sempre.
Seguita il Canone.
L'offerta di una vittima così pura, che ha ad un tempo sopra di sè tutti i
nostri peccati, sacrificata a morte e risuscitata, sofferente e gloriosa, che
l'Eterno Sacerdote secondo l'ordine di Melchisedecco ci ha {152 [160]} comandato
di presentarvi per li vivi e pei defunti, ci renda, o Signore, gradevoli agli
occhi vostri, e ci ottenga misericordia. Ce la ricuserete Voi, o Signore, questa
misericordia, quando per ottenerla noi Vi offriamo un sacrifizio infinitamente
più puro, infinitamente più meritorio di quelli, che un dì vi offrivano i vostri
santi patriarchi, ed i quali Voi tanto gradiste solo a riguardo di questo
sacrificio, di cui quelle offerte erano una figura? Noi dunque nuovamente vi
supplichiamo, Dio onnipotente, per questo vostro Figlio, per questo nostro
Avvocato, degno di essere da Voi esaudito, per questo Angelo del consiglio, che
voi inviaste sulla terra, affinchè fosse la nostra Redenzione, e la nostra
salute, d'applicare i frutti della sua Passione e della sua morte a tutti i
membri della vostra Chiesa.
Al memento dei morti.
Particolarmente pei nostri fratelli defunti noi Vi preghiamo, o sommo Iddio di
{153 [161]} misericordia. Deh! Eterno Padre, fate che la virtù del sangue di
Gesù Cristo penetri fin negli abissi dove si esercita la vostra giustizia sopra
quelle anime, le quali sebbene giuste non sono ancora degne di possedervi.
Questo prezioso sangue cada sopra di esse qual rugiada benefica, che apporti
loro refrigerio in mezzo a quelle fiamme dentro a cui stanno gemendo, e liberate
da quegli spaventosi tormenti passino tosto nel luogo del riposo e dell'eterna
pace. Voi conoscete, o Signore, i fedeli, pei quali io intendo di supplicarvi in
modo particolare questa mattina; degnatevi di distinguerli pure
nell'applicazione che farete dei frutti del santo sacrifizio. Fate ancora, o
Signore, che noi dopo avere espiate quaggiù con una vita santa e penitente le
offese che abbiamo commesse per nostra sventura contro di Voi, possiamo un dì
essere uniti con queste anime da Voi amate intorno al trono della vostra gloria,
e così possiamo con esse celebrare eternamente in Cielo le vostre misericordie.
{154 [162]}
Al Pater noster.
Qual
piacere non è mai il nostro, o Signore, nel potervi chiamare nostro Padre!
Questa è pure la più grande consolazione dei nostri fratelli che soffrono nel
purgatorio. Eglino di continuo tengono a Voi rivolti gli occhi loro bagnati di
lagrime, e stendono a Voi le loro mani implorando l'aiuto, la misericordia del
più buono dei padri. Eglino meritano più che noi di essere ammessi nel novero
dei figli vostri; affrettatevi dunque a soccorrerli, o Signore.
Sia il
nome vostro glorificato per mezzo di loro, come per mezzo nostro; entrino essi
al più presto nel vostro regno. La pazienza colla quale sopportano le pene che
loro infliggete tosto vi pieghi a cessare dai colpi della vostra
giustizia.
Date
loro in questo giorno il pane che sì ardentemente desiderano; loro concedete che
dopo essere stati nutriti del pane del {155 [163]} dolore, siano ristorati del
pane vivificante che è il godimento di Voi stesso, cui di continuo
sospirano.
All'Agnus Dei.
Agnello
di Dio, che col vostro sacrifizio avete meritata appresso al Padre vostro la
nostra riconciliazione, concedete a noi e ai nostri fratelli defunti questa pace
con Dio, che supera ogni pensiero, ogni sentimento.
Agnello
di Dio, vittima onnipotente, atterrate il muro di separazione che ha posto il
peccato tra voi e quelle anime, e fate loro risplendere l'eterna
luce.
Agnello
di Dio, la cui misericordia è infinita, Voi che vi siete sulla croce sacrificato
per salvare i peccatori, volgete benigno uno sguardo sopra quei fratelli nostri,
che sono passati all'eternità col pentimento dei loro peccati. Lasciatevi
commuovere dalle nostre preghiere, cancellate {156 [164]} quanto rimane delle
loro macchie e fin d'ora riceveteli nella società degli angeli vostri e dei
santi.
Al Domine non sum dignus.
Ohimè!
Gesù mio, è pur troppo vero, io non merito di ricevervi: chè ne sono indegno pe'
miei peccati. Io detesto però, mio Dio, tutti i miei mancamenti, e vi prego di
purificarmi colla vostra grazia, affinchè possa aver parte nella comunione del
vostro sagratissimo Corpo e del vostro preziosissimo Sangue: e fate nel tempo
stesso, che la vostra misericordia non indugi più a lungo a farsi sentire sopra
quelle anime, che anelano a Voi.
Alla Comunione. Preghiera per la comunione spirituale.
O Gesù
mio amabilissimo, poichè io non ho stamane la felicità di cibarmi della {157
[165]} vostra carne adorabile, permettete che io vi riceva almeno collo spirito
e col desiderio, e che io mi unisca a Voi per mezzo della fede, della speranza,
della carità e perfetta contrizione. Io credo in Voi, io vi amo con tutta
l'anima mia; vorrei trovarmi in istato di ricevervi nel mio cuore in quest'ostia
sacrosanta con tutta la santità che Voi da me desiderate. Con queste pie
disposizioni, che Voi stesso m'inspirate e che vi supplico di accrescere sempre
più nell'anima mia, nuovamente vi supplico, o Dio d'amore, di porre un termine
ai patimenti dei desolati miei fratelli, di aprir loro le porte del regno
celeste, e d'introdurli nella terra dei viventi.
Mentre il Sacerdote raccoglie le particelle dell'Ostia.
O
generoso Salvatore, la più piccola parte delle vostre grazie è infinitamente
preziosa. Io non merito d'assidermi alla vostra mensa come i vostri amici; ma
{158 [166]} permettete almeno che io raccolga le bricciole che ne cadono, come
desiderava la Cananea; fate che io non trascuri alcuna delle grazie vostre,
perchè una tale trascuranza potrebbe privarmene intieramente.
Fate
ancora che i miei fratelli che soffrono in purgatorio, non abbiano a patire
alcun danno dai mille difetti che accompagnarono le mie preghiere; ma abbiate
solo riguardo ai meriti infiniti da Voi acquistati per essi, e per
me.
Alle ultime orazioni.
O
Signore, Dio onnipotente, esaudite le preghiere che vi ho indirizzato per le
mani del vostro ministro in nome della vostra Chiesa, sotto gli auspizi di una
vittima di propiziazione, che vi sarà sempre infinitamente gradita, e la cui
volontaria immolazione cancella ogni peccato nei cuori sinceramente pentiti.
Colla vostra Chiesa, e pei meriti del suo divin Capo noi prendiamo animo, o
Signore, a fare {159 [167]} un ultimo sforzo, onde disarmare la vostra
giustizia. Degnatevi dunque, Dio mio, di accettare le suppliche della vostra
Chiesa e insieme con essa le soprabbondanti soddisfazioni offertevi dal vostro
divin Figliuolo, affinchè l'anima del vostro servo N. (o della vostra serva N.)
sia purificata da ogni macchia di peccato, contratta su questa terra ed entri
questo giorno medesimo nella patria dei Santi, per esservi felice della stessa
vostra felicità in eterno. Per mezzo di Gesù Cristo vostro Figliuolo e Signor
nostro. Così sia.
Al requieseant in pace.
Y. Date ai fedeli
defunti, o Signore, l'eterno riposo.
R. Fate loro
risplendere quella luce che più non si estingue.
Y. Per la
misericordia di Dio riposino essi in pace.
R. Così sia. {160
[168]}
All'ultimo Vangelo.
Al
favore che vi domando unitamente alla vostra Chiesa, pei nostri fratelli
defunti, degnatevi di aggiungere ancora, o mio Dio, quello che vi chiedo per me
stesso. Concedetemi che io pensando a loro pensi anche sulla mia morte, che
verso di me si avanza a gran passo, pensi al giudizio che deve seguirla ed
all'eternità che dovrà succedere a quei pochi giorni del mio pellegrinaggio su
questa terra. Questo salutare pensiero, tenendosi ognora presente al mio
spirito, mi faccia espiare con una sincera penitenza le offese che vi ha fatte;
mi aiuti a perseverare nella preghiera e nella vigilanza, onde evitare per
l'avvenire il peccato, e meritare di morire della morte dei giusti, la cui morte
non è che un dolce sonno seguito da un pronto risvegliarsi presso di Voi nella
gloriosa compagnia degli angeli e dei santi vostri. Di tal favore io vi supplico
per li meriti infiniti di Gesù Cristo {161 [169]} vostro Figliuolo, nostro
Signore, che vive e regna con Voi e collo Spirito Santo nella medesima unità
divina per tutti i secoli de' secoli. Così sia.
Istruzione sulla divina parola.
La
predicazione della parola di Dio forma una parte del culto divino. La s. Chiesa
fin da principio stabilì, che nella s. Messa dopo il Vangelo il sacerdote
predicasse agli astanti: cosichè nei tempi primitivi i cristiani non potevano
adempiere l'obbligo di assistere alla Messa nei giorni festivi senza ascoltare
la divina parola. Benchè nei tempi posteriori si introducesse l'uso di celebrare
la s. Messa anche nelle {162 [170]} feste di precetto senza predicarvi pure la
Chiesa raccomandò sempre mai a' suoi figliuoli di ascoltare la predica ogni
domenica o dì festivo[5]. E senza dubbio ogni cristiano, che sia alquanto sollecito della sua
eterna salvezza, troverà sempre un gusto particolare nel portarsi ai sermoni ed
alle istruzioni della Chiesa.
Chi
è di Dio ascolta la parola di Dio, disse Gesù Cristo (S. Giov. VIII, 47). La
quotidiana esperienza ci mostra, che i negligenti nel nudrirsi della parola di
Dio per ordinario sono anche negligenti nell'adempimento dei loro doveri: che
anzi molti di essi sono perversi, ed abbandonati intieramente ad ogni passione.
La ragione ne è chiara. Ogni cristiano, benchè già istruito nella sua religione,
ha tuttavia bisogno di mantenere continuamente viva {163 [171]} in sè la
cognizione delle verità della fede, di accrescere questa cognizione, e, quel che
più monta, di eccitare in sè la volontà di osservare tutta la legge di Dio a
fine di mettere in pratica i divini precetti e vivere in guisa da meritarsi il
paradiso. Onde se egli non procura continuamente di ravvivare in sè la memoria
de' suoi doveri e delle grandi verità che muovono il cuore umano al bene
operare, la volontà si raffredda, cade nell'indifferenza, ed il cristiano vien
meno di costanza, e cede agli assalti delle passioni e del mondo. Non
provvedendosi delle istruzioni necessarie, i discorsi contro alla fede
troveranno in lui accesso, e quindi egli è nel pericolo di perdere la cosa più
preziosa che sia sulla terra, qual è la fede, e di vivere come se non fosse più
un figlio della Chiesa. Per costoro è un dovere lo ascoltare le istruzioni
religiose, perciocchè la stessa ragione ci insegna che ogni uomo deve provvedere
con tutti i mezzi possibili alla sua eterna salute. Inoltre ogni cristiano deve
procurare di dare buon esempio, al quale dovere {164 [172]} mancano coloro che
non vanno mai alla predica. Il difetto poi di edificazione è tanto più
colpevole, quanto più uno ha influenza sovra altri, come sarebbero per es. i
genitori, le persone di condizione elevata e tutti coloro che hanno qualche
superiorità sugli altri. Imperocchè è nella natura delle cose che i figliuoli
imitino i genitori, i fanciulli gli adulti, e tutti coloro che sono in grado
inferiore imitino la condotta dei superiori.
Dobbiamo poi ascoltare la predica coll'intenzione d'instruirci, correggerci e
santificarci, perciò dobbiamo ascoltarla con attenzione, rispetto, e docilità.
Quindi s. Francesco di Sales ci avverte di porgere orecchio alla parola di Dio
con quella docilità con cui la ascoltava la Beatissima Vergine Maria
la quale tutto ciò, che udiva dal suo divin Figliuolo, conservava diligentemente
nel proprio cuore. Ricordati, che il Signore ascolta le parole che diciamo a lui
nella preghiera in proporzione che noi ascoltiamo le sue, quando egli ci parla
per bocca dei predicatori. Procuriamo nella {165 [173]} predica di
riconoscere noi stessi come dinanzi ad uno specchio; ed applichiamo a noi le
cose dette, non al nostro prossimo. Ad ogni predica facciamo una qualche
risoluzione da mettersi realmente in pratica o in quel dì, o in quella
settimana, o in altro tempo determinato. Perciò preghiamo il Signore prima e
dopo la predica, affinchè illumini la nostra mente, ci tocchi il cuore, e dia
forza alla volontà.
Preghiera prima della predica.
Venite,
o santo Spirito, riempite i cuori dei vostri fedeli, ed accendete in loro il
fuoco del vostro divino amore. Voi che i popoli di tutte le lingue adunaste
nell'unità della fede, datemi grazia, ve ne prego, che io non solo conosca le
verità, ma ancora le prenda per regola della mia condotta pratica. Fate sì, che
io ammaestrato da voi segua le massime di salute, e mi avanzi continuamente di
virtù in virtù. {166 [174]} Illuminate e corroborate il vostro ministro, che sta
per esporre la vostra parola, fate che il buon seme del Vangelo, che egli
spande, cada su buon terreno e porti molto frutto, sicchè l'ignorante venga
istruito, l'errante sia condotto sulla buona via, il virtuoso si raffermi nel
bene, il peccatore si converta, l'afflitto riceva consolazione, e tutti gli
uditori ritornino alle case loro edificati e migliorati. Benedite i buoni
sentimenti, gli affetti, ed i proponimenti, che mercè la vostra grazia si
susciteranno e si formeranno ne' loro cuori, cosichè essi non siano una cosa
passeggiera, ma durevole sino alla fine della vita. Così sia.
Preghiera dopo la predica.
Signore
Iddio onnipotente, vi ringrazio dei lumi che la vostra parola ha portato alla
mia mente, e degli affetti che mi ha destato nel cuore. Datemi grazia che essa
produca in me un frutto centuplo, cosichè io riporti piena vittoria sulle mie
cattive {167 [175]} inclinazioni, e la mia fede divenga sempre più operosa,
l'amore a voi sempre più infiammato ed efficace, la virtù sempre più perfetta e
costante. Fate che io non mi contenti solamente di conoscere la vostra dottrina,
ma con una fedeltà costante sino al termine della mia vita la metta in pratica.
Così sia.
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